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Presentazione del libro di Alberto Prunetti “Nel girone dei bestemmiatori”

Giovedì 17 settembre 2020

Dopo la pausa estiva, Vag61 riapre le porte e dà il via ad una nuova stagione di attività all’insegna dell’autogestione, dell’autorganizzazione e dell’autoproduzione!

– ore 19,30: aperitivo rinforzato in cortile

– ore 20,30: presentazione di “Nel girone dei bestemmiatori” con l’autore Alberto Prunetti

NB: Per tutelare la salute di tutte/i, il numero di accessi sarà limitato. Inoltre chiediamo a chi intende frequentare gli spazi di Vag61 di farlo osservando alcune precauzioni, come l’uso della mascherina e il distanziamento fisico. Tutte le indicazioni saranno disponibili all’ingresso.

Se non hai potuto partecipare alla presentazione del libro, puoi vedere la registrazione qui.

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Nel girone dei bestemmiatori. Una commedia operaia (Ed. Laterza, 2020)

“Nel mezzo del camin della mi’ vita mi son trovato dentro a un sogno oscuro. Sognavo e sudavo, come un dannato del lavoro…”

È uscito di recente in libreria “Nel girone dei bestemmiatori” di Alberto Prunetti (edizioni Laterza). Featuring: Renato & Steve McQueen. Special guest: Dante Alighieri. Soundtrack: l’armonica di C’era una volta il West.

“Nel girone dei bestemmiatori” è l’ultima fatica dello scrittore toscano che conclude la trilogia working class, iniziata con “Amianto” (ed. Alegre, 2014) e proseguita con “108 metri. The new working class hero” (ed. Laterza, 2018).

In questo libro le memorie familiari, l’analisi sociologica, la riflessione sul linguaggio, la storia letteraria si mescolano e convivono con grande naturalezza. Il risultato ottenuto è veramente sorprendente. La scioltezza e la comicità di certe pagine, infatti, si accompagnano alla malinconia per un’epoca della nostra storia che si è conclusa. Si tratta di una travolgente avventura tragicomica, al cuore dell’identità operaia di ieri e di oggi. Nel libro il linguaggio di Renato e di sua moglie, il linguaggio, cioè, di un saldatore e di una casalinga, divengono l’espressione di un’intera classe sociale e di una vivace comunità toscana che va da Baratti a Piombino a Rosignano Solvay.

Renato, il padre della voce narrante, sapeva cosa fare i giorni lavorativi e sapeva cosa fare alla domenica (“La domenica mattina Renato si infilava nel vestito bono. Giacca, cravatta e cappello. Non andava a messa ma al bar sport a giocare la schedina”), e ciò che lui faceva era ciò che facevano anche tutti gli altri operai, poiché parole come appartenenza, classe, identità comune, non avevano ancora perso né senso né significato.

Come ha detto Renato, il babbo del Prunetti, “le biblioteche le fanno i muratori e gli elettricisti. Le fondamenta le scaviamo noi…”. C’hanno raccontato l’inferno dantesco, le emozioni sofisticate e i patimenti dell’anima. E il corpo? La sofferenza dei polmoni e delle braccia? La sofferenza di chi l’inferno l’ha costruito, tuta blu e gambe in spalla? Loro sembra che vengano masticati e sputati dalla storia.

“Dammi le parole come se fossero attrezzi. Tieni il filo del discorso. Fissalo a quel passante. Metti in squadra il racconto”. Riprendersi il linguaggio operaio per Prunetti è necessario come il pane. I padroni si sono mangiati tutto, anche le parole, secondo loro la classe operaia non ha nemmeno più il diritto di riconoscersi come tale: dicono che i lavoratori non esistono più.

Straordinarie sono alcune delle espressioni riportate nel capitolo “La storia della cassetta degli attrezzi” (“Il pane e la sassata”, “Sette tuo”, “Quello sembra fatto col pennato”, “Ora lo sganghero”, “Artista!”). Poi ci sono anche le parole tecniche legate al lavoro degli operai in fabbrica (raccordo maschio-femmina, dado a cappello, guarnizione in gomma).
Le vittorie e le sconfitte della storia, secondo Prunetti, si reggono su braccia operaie. Braccia a cui di certo l’inferno dantesco non fa paura perché appartengono a gente coibentata. Come dice il padre Renato “vai all’altoforno al turno di notte e dopo non c’è inferno che ti faccia paura”. Poi, però, le divine commedie le scrivono quelli che stanno in paradiso, perché lì di tempo per contemplare il creato ce n’è, non c’hanno da fare la manutenzione. In paradiso ci sono i padroni. Bisogna scriverle noi le opere, piazzare nella rete dei santi e dei beati “delle belle pappine”. Noi che veniamo da quelle braccia operaie, con l’altoforno nelle viscere. Perché se si lascia il linguaggio a loro, loro ci raccontano così: come quelli sconfitti.

E, invece, procediamo per contraddizioni e strappi. Anzi, quando non ci portiamo dietro il peso delle esperienze passate e delle sconfitte, allora sì che diventiamo terreno fertile per veri e propri salti rivoluzionari. Come l’operaio-massa meridionale che si trovava a Torino alla fine degli anni sessanta oppure i tanti lavoratori stranieri nella logistica oggi.

Tutte queste storie Alberto le racconta alla figlia Elettra. La trama del libro si dipana lungo la ricerca di nomi, di persone, di cose e di attrezzi. Un elenco di nomi trascurati o dimenticati che si infilano in un inferno proletario dove gli scenari della Commedia di Dante si intrecciano con gli spaghetti-western di Sergio Leone. Una vecchia armonica risuona tra le labbra di Steve McQueen e fa da colonna sonora alla più grande evasione di tutti i tempi. Ovviamente la spalla che dovrà scardinare le porte degli inferi sarà quella proletaria di nonno Renato.